martes, 27 de septiembre de 2011

Riflessioni sulla Psicologia Transpersonale

Personalità-mana e processo creativo: una sintesi junghiana
Di Diego Pignatelli Spinazzola

Per via di un indigenza esteriore il percorso dell'eroe è quanto mai arduo.
Egli tenterà a tutti i costi di liberarsi da essa con un ritrarsi nello spirito della perfezione che compensi lo spirito d'imperfezione che egli attraversa e che è relegato ai suoi simili.
L'arte scaturisce da una dimensione-altra, da una consapevolezza della perfezione dell'artista stesso. Egli fa parlare le molteplici immagini primordiali in modo da restaurare il contatto con lo spirito originario delle civiltà, delle autentiche potenze mana, forze integratici e soccorritrici, guaritrici e pericolose per l'umanità. L'eroe scatena queste forze e se ne fa vero e proprio depositario. Egli ha conquistato la magia degli antichi, ha conquistato il Santo Graal di un antico spirito degli antenati.
Ma scatenandosi queste forze diventano dirompenti, irrompe una mania di grandezza "god-likeness" un identità divina troppo potente da tener testa.
L'eroe viene così annichilito e si rifugia in un nostalgico atto incestuoso di ritorno alla Madre come per il Sigfrido o Wotan esaminato da Jung in Libido, simboli e trasformazioni in op. V (Jung 1912).
Il solo modo di uscire da questa arrischiosa situazione psichica che Jung ha definito essere una "personalità-mana" è quello di arrendersi alle istanze dell'anima e differenziarsene oggettivamente. Così l'anima ed il suo potere numinoso non possono avere influenza alcuna sulla psiche allorché oggettivata quale realtà psichica a se.
Tale è il suggerimento di Jung. Oggettivare le istanze psichiche e differenziarsene in modo da non incorrere nella pericolosa stretta dell'identità con Dio che avviene a livello della personalità mana. Se questo stato di megalomania cosciente, di gonfiamento viene scoraggiato la tensione si rilascia verso una nuova integrazione della personalità che lascerà il posto al processo di individuazione. Lo sciogliersi della personalità-mana presagisce l'individuazione secondo Jung. Ma vi sono degli importanti presupposti perché questo viaggio verso l'individuazione abbia successo e completamento. La differenziazione della psiche creativa viene vista come uno stato di indigenza dell'eroe. Occluso dall'imperfezione esteriore e dei simili egli deve trascendere la sua realtà esteriore,deve ritrarsi nelle profondità del suo inconscio traendo l'immagine perfetta, modificandone la forma ed avvicinandola al linguaggio contemporaneo e dei suoi simili. Egli come osserva Jung, "volge le spalle all'insoddisfazione del presente" e fa del suo Descensus ad Inferos una rinascita dalle acque dell'incoscienza ed un autoperfezionamento della sua opera scolpita a propria immagine. L'atto eroico e creativo compensa l'unilateralità della società e le rende servizio volgendosi a piena perfezione. Solo così, ammette Jung, l'artista crea "valori utili" ed apporta cultura ulteriore (Shamdasani, C. G. Jung, il Libro Rosso, Bollati Boringhieri 2010).
Il livello di compensazione tra individuo creativo e società è un dialogo mai terminato che ha aperto le frontiere della cultura e della civilizzazione.
Perché avvenga questa sperimentazione culturale, questa scambio c'è bisogno di un terreno fertile. Oggi le cose non stanno così. La società odierna occlude il genio creativo e lo ristagna in un angolo circoscritto così che egli trovi anche difficoltà a nutrire il suo spazio psichico e creativo.
Ma se la società non accoglie una psiche creativa in un adeguato temenos, questi le riversa tutto il mana possibile, forze assopite dell'inconscio, che sarebbe stato meglio non scatenare. Ed abbiamo visto cosa ha prodotto il nazismo.
Epidemie psichiche di ogni genere si fanno incontro e propugnano visioni apocalittiche. Il livello di compensazione tra individuo e cultura è necessario alla salute psichica figurarsi per una psiche creativa che detiene sempiterne rivelazioni. Questo compito un tempo spettava all'arte ed alla religione. Esse mantenevano intatto un equilibrio omeostatico ed integravano l'individuo in un adeguato contesto culturale e transpersonale. L'eroe è apportatore di un canone di valori, egli sarà ben presto celebrato quale fondatore ed inserito in un pantheon specifico, ma questo avveniva già da tempo agli albori della civiltà. Jung, fondatore della psicologia analitica ha reso possibile tramite la sua spinta innovativa e creativa questo sempre rinnovato contatto con le istanze psichiche e transpersonali ed i loro canoni simbolici e culturali dando vita ad un ermeneutica dell'anima che si inserisce profondamente nel processo creativo del singolo e nel contesto simbolico, patrimonio archetipico del genere umano.
Grazie a Jung, le conoscenze si sono maggiormente ampliate ed arricchite all'interno di una tradizione antica e rinnovate dallo sforzo creativo delle nuove generazioni di analisti e cultori che cercano di preservare l'opus junghiano alle radici della stessa tradizione, ma al contempo, ampliandone gli orizzonti.
Non si ricava solo dalla letteratura psicoanalitica ma dal mythos e dalla ricerca di etnopsicologie comparate, antropologia, arte, simbolo, esperienza religiosa, misticismo, gnosticismo teologico e alchimia. Questo è materiale per un amplificazione, (termine coniato dallo stesso Jung) diretta all'interpretazione del sintomo e dell'analisi integrativa dei sogni. Jung stesso quale individuo illuminante e creativo, ha "liberato per noi forze soccorritrici" inserendole nell'anima del mito e della storia. Una storia che intende di essere riletta e riconsiderata alla luce di quell'incessante dialogo tra individuo e società. Se poi le forze mana non reggeranno alla compensazione nella psiche creativa e potenti energie andranno a sopraffarre il percorso eroico, solipsistico tentativo di vittoria sulla psiche collettiva, non si produrrà altro che una pericolosa inflazione. Questa situazione è molto pericolosa per l'individuo e per lo stesso percorso eroico. L'io dell'eroe attende una principessa fanciulla o in altri casi un "angelo personale"e anima che lo conduca come uno psicopompo verso un armonico dialogo con la sua realtà che dato il rischio dell'inflazione rischiava di implodere e fallire. Così la regina, il doppio celeste, l'anima fanciulla si costituisce partner e compagna lungo il viaggio verso l'individuazione ed integrazione e completamento del Sé. Verrà a costituirsi una "sizigia"una doppia coppia regale di amanti e partners inscindibili. Il Re alchimisticamente parlando ha ora la sua Regina. Il Sole è in una nuova coniunctio con la Luna sposa e regina, verso una nuovo tramonto ed una rinnovata alba che l'umanità spera di attendere.


Bibliografia
E. Neumann, Storia delle Origini della Coscienza, Astrolabio Ubaldini Editore 1978 Roma.
E. Neumann, La Grande Madre: fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio; Astrolabio-Ubaldini Roma 1981.
C. G. Jung, Scritti scelti, a cura di J. Campbell, Edizioni Red Milano 2007.
C. G. Jung, Gli Archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino, 1977.
C. G. Jung, Tipi Psicologici, Newton and Compton editori Roma, 2009.
C. G. Jung, La psicologia dell’inconscio, Newton and Compton editori, 1989 Roma.
C. G. Jung, La libido, simboli e trasformazioni, Newton Compton Editori, 2006, Roma.
C. G. Jung, Aion: Ricerche sul Simbolismo del Sè, in Opere Vol 9**, Bollati Boringhieri, Torino, 2005.
C. G. Jung, Psicologia e Alchimia in Opere Vol 12, Bollati Boringhieri editore, 2006, Torino.
C. G. Jung, L'io e l'inconscio, Bolltati Boringhieri ristampa, Torino, 2004.
C.G. Jung, The Red Book (liber novus) edited by Sonu Shamdasani, Norton publication New York/London 2009.
C. G. Jung, La Psicologia del Kundalini Yoga: seminario tenuto nel 1932, a cura di Sonu Shamdasani, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.
J. Hollis, Progetto Eden. La problematica dell'investimento paradisiaco nelle relazioni di coppia e nel sociale, Zephyro Edizioni, 2002.
J. Hillman, Puer Aeternus; Adelphi Edizioni, 1999, Milano.
J. Hillman, Il sogno e il mondo infero Adelphi, 2003, 3ª ediz., pp. 314

http://www.riflessioni.it/psicologia-transpersonale/personalita-mana-processo-creativo.htm

viernes, 9 de septiembre de 2011

Esquizofrenia: una enfermedad inexistente

por Lawrence Stevens, J.D. Traducido por César Tort, Ciudad de México, México

La palabra “esquizofrenia” suena a un deslumbrante término científico que nos parece inherentemente creíble. En su libro Moléculas de la mente: la nueva ciencia de la sicología molecular, Jon Franklin, profesor de la Universidad de Maryland, le llama a la esquizofrenia y a la depresión “las dos formas básicas de enfermedad mental” (Dell Publishing Co., 1987, p. 119). De acuerdo con el artículo de portada de la revista Time (6 julio 1992), la esquizofrenia es “la más diabólica de las enfermedades mentales” (p. 53). Ese artículo añade: “Una cuarta parte de las camas de hospitales están ocupadas por pacientes de esquizofrenia” (p. 55). Libros y artículos como éstos y los hechos a los que se refieren (como la estadística de las camas de hospital) engañan a la mayoría de la gente para que crean que realmente existe una enfermedad llamada esquizofrenia. La esquizofrenia es uno de los grandes mitos de nuestra época.

En su libro Esquizofrenia: el símbolo sagrado de la siquiatría, el Dr. Thomas Szasz dice: “En resumen, no existe tal cosa como la esquizofrenia” (Syracuse University Press, 1988, p. 191). En el epílogo de su libro Esquizofrenia: ¿diagnóstico médico o veredicto moral? el Dr. Theodore Sarbin, profesor de sicología en la Universidad de California en Santa Cruz (quien pasó tres años trabajando en hospitales) y el Dr. James Mancuso, profesor de sicología en la Universidad del Estado de Nueva York en Albany, dicen: “Hemos llegado al final del camino. Entre otras cosas, hemos tratado de establecer que al modelo de esquizofrenia sobre conducta indeseable le falta credibilidad. El examen nos hace concluir ineludiblemente que la esquizofrenia es un mito” (Pergamon Press, 1980, p. 221). En su libro Contra las terapias publicado en 1988, el Dr. Jeffrey Masson dice: “Ya existe conciencia sobre los peligros inherentes de etiquetar a alguien con una categoría de enfermedad como esquizofrenia, y mucha gente está comenzando a entender que no existe tal entidad” (Atheneum, p. 2). En lugar de ser una enfermedad auténtica, la llamada esquizofrenia es una categoría no específica que incluye casi todo lo que un ser humano puede hacer, pensar o sentir que desagrada mucho a otra gente (o a los que la “padecen”). De hecho, existen pocas “enfermedades mentales” que en un tiempo u otro no han sido llamadas “esquizofrenia”. Debido a que éste es un término que cubre casi todo lo que una persona puede pensar o hacer que molesta mucho a otros, es difícil definirla objetivamente. En general, las definiciones de esquizofrenia son vagas o inconsistentes entre sí. Por ejemplo, cuando le pregunté a un asistente del superintendente de un manicomio estatal que me definiera el término esquizofrenia, con toda seriedad respondió: “Personalidad dividida, ésa es la definición más popular”. Pero si buscamos en otro lado, por ejemplo en un folleto publicado por la Alianza Nacional sobre Enfermos Mentales titulado ¿Qué es la esquizofrenia?, éste dice: “La esquizofrenia no es personalidad dividida”. Asimismo, en su libro Es-qui-zo-fre-nia: hablemos claro a la familia y a los amigos, publicado en 1985, Maryellen Walsh dice: “La esquizofrenia es una de las enfermedades más malentendidas del planeta. La mayoría de la gente cree que significa tener una personalidad dividida, pero están equivocados. La esquizofrenia no es que la personalidad se fragmente en múltiples partes” (Warner Books, p. 41). La segunda edición del Manual diagnóstico y estadístico de los trastornos mentales (DSM-II) de la Asociación Psiquiátrica Americana, publicado en 1968, define la esquizofrenia como “disturbios característicos del pensamiento, humor o conducta” (p. 33). Esa definición presenta la dificultad de ser tan genérica que se le podría atribuir a casi cualquier cosa que a la gente le desagrade o que considere anormal, por ejemplo, cualquier llamada enfermedad mental encuadra en tal definición. En el prólogo al DSM-III, el Dr. Ernest Gruenberg, director del Comité de la Asociación Psiquiátrica Americana sobre Nomenclatura, dijo: “Consideremos, por ejemplo, el trastorno mental llamado ‘esquizofrenia’... Incluso si el comité se lo hubiera propuesto, no habría podido estar de acuerdo acerca de qué es el trastorno” (p. ix). La tercera edición del Manual diagnóstico y estadístico de los trastornos mentales, publicada en 1980 y comúnmente denominada DSM-III, también fue sincera sobre la vaguedad del término: “Los límites del concepto esquizofrenia no son claros” (p. 181). La revisión publicada en 1987, DSM-IIIR, contiene una declaración similar: “Debe notarse que no hay característica alguna que esté invariable o exclusivamente presente en la esquizofrenia” (p. 188). DSM-IIIR también dice lo mismo de un diagnóstico similar: “El término ‘trastorno esquizo-afectivo’ se ha usado de diversas maneras desde que se introdujo como una subcategoría de la esquizofrenia, y representa uno de los conceptos más confusos y controversiales en la nosología siquiátrica” (p. 208).

En el clima intelectual de hoy día, donde se cree que la enfermedad mental tiene causas biológicas o químicas, es especialmente instructivo lo que el DSM-IIIR dice acerca de las causas físicas del concepto esquizofrenia. El manual dice que el diagnóstico de tal enfermedad “se hace solamente cuando no puede establecerse que un factor orgánico inició y mantuvo la alteración” (p. 187). Subrayando esta definición de “esquizofrenia” como no biológica está la edición de 1987 del Manual Merck de diagnóstico y terapia, que dice que un diagnóstico de esquizofrenia se hace sólo cuando la conducta en cuestión “no se debe a un trastorno mental orgánico” (p. 1532).

En contraste con esta declaración se encuentra la del siquiatra Fuller Torrey en su libro Sobreviviendo a la esquizofrenia: un manual para la familia, publicado en 1988. Torrey dice: “La esquizofrenia es una enfermedad del cerebro, ahora definitivamente conocida como tal” (Harper & Row, p. 5). Desde luego, si la esquizofrenia es una enfermedad cerebral, entonces es orgánica. Sin embargo, la definición oficial de esquizofrenia sostenida y publicada por la Asociación Psiquiátrica Americana en su Manual diagnóstico y estadístico de los trastornos mentales por muchos años excluyó específicamente las condiciones orgánicas como causales en la definición de esquizofrenia. No fue sino hasta la publicación del DSM-IV en 1994 que se removió tal exclusión. En Sobreviviendo a la esquizofrenia, el Dr. Torrey reconoce que lo que explica esto son “las actuales teorías sicoanalíticas y de interacción familiar sobre la esquizofrenia” (p. 149).
En el journal Nature (10 noviembre 1988), el geneticista Eric Lander de la Universidad de Harvard resumió la situación así: “Potter Stewart, el finado juez de la Suprema Corte, declaró en un caso célebre de obscenidad que, aunque no podía definir rigurosamente la pornografía, ‘Sé cuando la veo’. Los siquiatras se encuentran en una posición muy similar respecto al diagnóstico de esquizofrenia. Después de ochenta años de haberse acuñado el término para describir una condición devastadora que involucra una división mental entre las funciones del pensamiento, emoción y conducta, no contamos con una definición universalmente aceptada de esquizofrenia” (p. 105).
De acuerdo al Dr. Torrey en el citado libro, la llamada esquizofrenia incluye varios y muy diversos tipos de personalidades. Están, por ejemplo, los esquizofrénicos paranoicos quienes tienen “ilusiones y/o alucinaciones” que son ya sea “persecutorias o grandiosas”; los esquizofrénicos heberfénicos, quienes tienen un padecimiento donde “las ilusiones del pensamiento generalmente están ausentes”; los esquizofrénicos catatónicos, quienes se caracterizan por “posturas, rigidez, estupor y mutismo” — en otras palabras, están sentados inmóviles —; y los esquizofrénicos simples, quienes exhiben “una falta de interés e iniciativa” como los catatónicos (aunque no tan severa) pero que a diferencia de los paranoicos, tienen “ausencia de ilusiones o alucinaciones” (p. 77). La edición de 1968, el DSM-II, indica que una persona que es muy feliz (que experimenta “júbilo prolongado”) puede definirse como esquizofrénica por esta razón (“esquizofrenia esquizoafectiva tipo excitado”), pero también infeliz (“esquizofrenia esquizoafectiva tipo deprimido”) (p. 35), y la edición de 1987, el DSM-IIIR, indica que una persona puede ser diagnosticada de esquizofrénico ¡porque no muestra ni felicidad ni tristeza! (“no hay signos de expresión afectiva”) (p. 189), a lo que el Dr. Torrey le llama esquizofrenia simple (“emociones aplanadas”) (p. 77). De acuerdo al siquiatra Jonas Robitscher en su libro Los poderes de la siquiatría, la gente que tiene ciclos de tristeza y felicidad, el llamado maniaco-depresivo (“trastorno bipolar”), también puede denominarse esquizofrénico: “Muchos casos diagnosticados de esquizofrenia en Estados Unidos serían diagnosticados como enfermedad maniaco-depresiva en Inglaterra o en Europa Occidental” (Houghton Mifflin, 1980, p. 165). De manera que los supuestos “síntomas” o características que definen la “esquizofrenia” son de verdad genéricas, y definen a la gente como teniendo una clase de esquizofrenia, tengan ilusiones o no, alucinen o no, estén inquietos o catatónicos, felices o tristes o ninguno de los dos; o que cambien cíclicamente entre felicidad y tristeza. Como ninguna causa física de la “esquizofrenia” se ha encontrado (como veremos posteriormente), esta “enfermedad” puede definirse únicamente en términos de “síntomas” que pueden llamarse ubicuos. Como dijo el abogado Bruce Ennis en su libro Prisioneros de la siquiatría: “La esquizofrenia es un término tan genérico y cubre una gama tan amplia de comportamientos que hay pocas personas que no podrían, en un tiempo u otro, ser consideradas esquizofrénicas” (Harcourt Brace, 1972, p. 22). Generalmente, a las personas obsesionadas con ciertos pensamientos o que se sienten compelidos a hacer cosas como lavarse las manos repetidamente, se les considera que padecen de una enfermedad siquiátrica llamada “trastorno de obsesión compulsiva”. Sin embargo, a la gente con pensamientos obsesivos o conducta compulsiva también se les ha llamado esquizofrénicos (como lo hace el Dr. Torrey en Sobreviviendo a la esquizofrenia, pp. 115-116).
En ese libro, el Dr. Torrey concede que es imposible definir lo que la esquizofrenia es: “Se han establecido las definiciones de la mayoría de las enfermedades de la humanidad... En casi todas existe algo que puede verse o medirse, y esto puede usarse para definir la enfermedad y separarla de los estados de salud. ¡Pero no con la esquizofrenia! Hasta la fecha no tenemos tal cosa que pueda medirse o de la que podamos decir: efectivamente, esto es la esquizofrenia. Por lo mismo, la definición de esa enfermedad es fuente de gran confusión y debate” (p. 73). Lo que en lo personal me intriga es cómo reconciliar esta declaración con otra del Dr. Torrey en el mismo libro, misma que cité arriba y que completaré a continuación: “La esquizofrenia es una enfermedad del cerebro, ahora definitivamente conocida como tal. Es una verdadera entidad científica o biológica como la diabetes, la esclerosis múltiple y el cáncer son entidades científicas y biológicas” (p. 5). Pero ¿cómo puede saberse que la esquizofrenia sea una enfermedad cerebral cuando no sabemos lo que la esquizofrenia es?
La verdad es que la etiqueta esquizofrenia, como las etiquetas pornografía o enfermedad mental, indica desaprobación hacia lo que se dirige la etiqueta, y nada más. Al igual que “enfermedad mental” y “pornografía”, la “esquizofrenia” no existe en el sentido que existe el cáncer y las enfermedades del corazón; más bien existe sólo en el sentido que lo bueno y lo malo existen. Como con otras llamadas enfermedades mentales, el diagnóstico de “esquizofrenia” refleja los valores del que pronuncia esa palabra o del que “diagnostica”, valores sobre cómo la persona “debe ser”. Y esto generalmente va unido al supuesto que el pensamiento, emociones o conducta desaprobadas resultan de una anomalía biológica. Si tomamos en cuenta las muy diversas formas en que se ha usado, es claro que la “esquizofrenia” no tiene otro significado que: “Tal conducta me desagrada”. Debido a esto, pierdo algo de respeto hacia aquellos profesionales que trabajan en el campó de salud mental cuando los escucho usar la palabra esquizofrenia de manera que parece que están hablando de una enfermedad. Es como si alguien a quien tenía por intelectualmente íntegro le escucho decir que admira el traje nuevo del emperador. Si bien es cierto que el significado vernáculo de esquizofrenia como intrínsecamente inconsistente tiene sentido, usar el mismo término refiriéndose a una enfermedad revela que esta persona no sabe de qué está hablando.
Cierto, muchos “profesionales” que trabajan en el campo de la salud mental y otros investigadores “científicos” persisten en creer que la esquizofrenia es una enfermedad real. Son como el gentío que observaba el traje nuevo del emperador incapaces de reconocer la verdad porque los demás decían que el traje era real. Como se puede observar en Index, un directorio de revistas para médicos, el mito de la esquizofrenia se ha difundido mucho; y como estos “científicos” creen que es real, entonces tratan de buscar causas físicas de la esquizofrenia. Como dijo el siquiatra William Glasser en su libro Adicción publicado en 1976: “La palabra esquizofrenia suena mucho a una enfermedad respecto a la cual algunos científicos prominentes se han engañado a sí mismos para encontrar su curación” (Harper & Row, p. 18). Ésta es una empresa tonta porque estos supuestamente prominentes científicos no pueden siquiera definir la “esquizofrenia”: no saben qué están buscando.
De acuerdo a tres profesores de siquiatría de la Universidad de Stanford, “son dos las hipótesis que han dominado la búsqueda de un sustrato biológico de la esquizofrenia”, la hipótesis de la transmetilación y la hipótesis de la dopamina (Jack Barchas et al., “Hipótesis aminobiogénica de la esquizofrenia” en Sicofarmacología: de la teoría a la práctica, Oxford Univ. Pr., 1977, p. 100). La primer hipótesis está basada en la idea que la “esquizofrenia” podría causarse por “una formación aberrante de los aminos metilados” similares al placer alucinógeno de la droga mezcalina en el metabolismo de los llamado esquizofrénicos. Después de repasar varios intentos para confirmar esa hipótesis, concluyen: “Más de dos décadas después de la introducción de la hipótesis de la transmetilación, no se pueden sacar conclusiones acerca de su relevancia con la esquizofrenia” (p. 107).
El profesor de siquiatría de la Universidad de Columbia Jerrold Maxmen describe brevemente la segunda de las principales hipótesis de la esquizofrenia, la hipótesis de la dopamina. En su libro La nueva siquiatría publicado en 1985 dice: “Muchos siquiatras creen que la esquizofrenia tiene que ver con una actividad excesiva del sistema receptor de dopamina... Los síntomas del esquizofrénico provienen parcialmente de que los receptores sean atiborrados con dopamina” (Mentor, pp. 142 &154). Pero en un artículo de los tres profesores de Stanford mencionados, éstos dicen que “confirmación directa que la dopamina se encuentra involucrada en la esquizofrenia sigue eludiendo a los investigadores” (p. 112). En su libro de 1987 Moléculas de la mente, el profesor Jon Franklin dice: “En pocas palabras, la hipótesis de la dopamina está equivocada” (p. 114).
En el mismo libro, el profesor Franklin describe sagazmente los esfuerzos para encontrar otras causas biológicas de la llamada esquizofrenia: “Como siempre, la esquizofrenia fue la enfermedad que produjo índices. Durante los 1940s y 1950s cientos de científicos se ocuparon en un tiempo u otro a experimentar con muestras de esquizofrénicos y con sus fluidos. Probaron la conductividad de la piel, las células en cultivo, analizaron la sangre, la saliva, el sudor y miraban reflexivamente los tubos de ensayo con orina esquizofrénica. El resultado de todo esto fue una continua serie de anuncios que ésta o aquella diferencia se había encontrado. Por ejemplo, uno de los primeros investigadores afirmó haber aislado una sustancia de orina que hacía que las arañas hicieran telarañas extravagantes. Otro grupo pensó que la sangre de los esquizofrénicos contenía un metabolito anómalo de adrenalina que causaba alucinaciones. Hubo incluso uno que propuso que la enfermedad era causada por deficiencia vitamínica. Todo esto ocasionó grandes noticias en los periódicos, mismos que anunciaban que el enigma de la esquizofrenia había, por fin, sido resuelto. Desgraciadamente, al analizar de cerca estas investigaciones ninguna resultó sólida” (p. 172).
Otros esfuerzos para probar la base biológica de la llamada esquizofrenia incluyen escaneos cerebrales de gemelos idénticos cuando sólo uno se supone que padece el mal. Si bien éstos muestran que el llamado esquizofrénico tiene un daño cerebral que el otro no tiene, la causa de esto es que le han dado neurolépticos: unas drogas que lesionan el cerebro con el pretexto de “tratarlo” para su llamada esquizofrenia. Son estas drogas nocivas, no la llamada esquizofrenia, lo que causó el daño cerebral. De hecho cualquier persona tratada con ese tipo de drogas sufriría esos daños. El hacerle esto a gente excéntrica, molesta, imaginativa o trastornada lo suficientemente para llamarlos esquizofrénicos es una de las consecuencias más tristes e imperdonables del mito de la esquizofrenia.
La nueva guía Harvard de siquiatría, publicada en 1988, Dr. Seymour Kety, profesor emérito de neurociencia en siquiatría y el Dr. Steven Matthysse, profesor asociado de sicobiología, ambos de la Escuela Médica de Harvard, dijeron: “Una lectura imparcial de la literatura reciente no nos proporciona la esperada clarificación de la hipótesis de la catecolamina, ni provee evidencia persuasiva sobre otras diferencias biológicas que pueden caracterizar los cerebros de pacientes que padecen una enfermedad mental” (Harvard Univ. Press, p. 148).
La creencia en las causas biológicas de las llamadas enfermedades mentales, incluyendo la esquizofrenia, no proviene de la ciencia sino del autoengaño: el deseo de eludir las causas ambientales que hacen que la gente se trastorne. El perpetuo fallo de tanto esfuerzo de encontrar una causa biológica de la llamada esquizofrenia sugiere que ésta pertenece a la categoría de conductas inaceptables social y culturalmente, y no a la categoría biológica de “enfermedad” donde mucha gente la coloca conceptualmente.

EL AUTOR, Lawrence Stevens, es un abogado cuya práctica incluye representar a “pacientes” siquiátricos. Ha publicado una serie de folletos acerca de varios aspectos de la siquiatría incluyendo las drogas siquiátricas, el electroshock y la sicoterapia. Sus folletos no están registrados en las oficinas de derechos de autor. Se te invita a sacarles copias para distribuirlas a aquellos que creas que se puedan beneficiar.

Actualización de 1998

“La etiología de la esquizofrenia es desconocida... Es muy común creer que ésta tiene una base neurológica. La teoría más importante es la de la dopamina: que la esquizofrenia se debe a la hiperactividad de las vías dopaminérgicas del cerebro... Otros estudios se han enfocado en anormalidades funcionales a través de experimentos con imágenes cerebrales y con sujetos de control. Hasta la fecha ningún hallazgo explica adecuadamente la etiología y patogénesis de esta compleja enfermedad”. Esto lo dicen las siguientes personas: el Dr. Michael Murphy (miembro clínico de la Escuela Harvard de Siquiatría; el Dr. Ronald Cowan (ibid.); y el Dr. Lloyd Sederer (profesor asociado en siquiatría clínica de la misma escuela). La cita proviene del libro de texto Anteproyectos en siquiatría (Blackwell Science, 1998, p. 1).

Actualización de 1999

“La causa de la esquizofrenia no se ha determinado” — "The cause of schizophrenia has not yet been determined..." Reporte sobre salud mental del Médico General [de Estados Unidos], el Dr. David Satcher. Éstas son las palabras iniciales de una sección sobre la etiología (causa) de la esquizofrenia. Sin embargo, posteriormente el Médico General resumió varias teorías no probadas de la llamada esquizofrenia, y citó la posibilidad que como a los gemelos idénticos (a diferencia de los fraternales) se les etiquete de esquizofrénicos, eso sea evidencia de un factor genético en la enfermedad. El Médico General no tomó en cuenta algunos estudios que muestran que esa concordancia de gemelos es mucho más baja que la de los estudios en que se basa. Por ejemplo, en su libro ¿Es hereditario el alcoholismo? el Dr. Donald Goodwin cita estudios que muestran que en gemelos idénticos la proporción para la llamada esquizofrenia es tan baja como un 6% (Ballantine Books, 1988, p. 88), y asevera: “Sin proponérselo, los creyentes en la base genética de la esquizofrenia pueden diagnosticar casos de ‘esquizofrenia’ más de lo debido cuando de gemelos idénticos se trata” (ibid., p. 89). El Médico General cita anomalías cerebrales en personas llamada esquizofrénicos pasando por alto el hecho que generalmente están causadas por las drogas que les recetan. Por si fuera poco, se basa en la desacreditada hipótesis de la dopamina y promulga el uso de neurolépticos para la llamada esquizofrenia a pesar que estas drogas causan permanente daño cerebral. Este daño se evidencia en las palabras mismas del Médico General: distonia aguda, discinesia tardía y acatisia, que él calcula acaece en aproximadamente el 40% de las personas que toman esas drogas. Finalmente, en el citado reporte el Médico General infunde lo que probablemente es una falsa esperanza: que las nuevas drogas anti-sicóticas o anti-esquizofrenia son menos nocivas que las de antaño.

Fuente: http://www.antipsychiatry.org/sp-schiz.htm

Un Perro Andaluz - Buñuel / Dalí



 La película comienza con el rótulo «Érase una vez». Un hombre (Luis Buñuel, como actor) afila una navaja de afeitar mientras observa, asomándose al balcón, cómo una filosa nube corta la luna. Del mismo modo, él secciona el ojo a una mujer.
Nuevo intertítulo: «Ocho años después». Un ciclista (Pierre Batcheff) pedalea por una calle desierta. Está ataviado con unos estrafalarios complementos: manteles blancos, tocado de monja, una caja a rayas diagonales a modo de colgante sobre el pecho... En tanto la joven de antes, que estaba leyendo, siente algo y se levanta, tirando el libro al suelo, que se queda justo abierto en una reproducción de La encajera, de Vermeer. El ciclista se detiene y cae golpeándose la cabeza bruscamente contra el canto de la acera. Ella corre escaleras abajo y lo besa frenéticamente.
De vuelta a la habitación, dispone las ropas del ciclista encima de la cama, como recomponiendo la imagen del cuerpo. Al darse la vuelta, ve al mismo hombre mirando las hormigas que surgen de un agujero negro de su mano. Mediante fundidos encadenados, se transforma en el vello axilar, un erizo de mar y en un grupo de personas que rodean a una mujer de apariencia andrógina que tantea con un bastón una mano cortada que yace en medio de la calle. Un policía recoge la mano, se la entrega y el andrógino la mete en la caja de rayas diagonales que llevaba el ciclista. La gente se “disuelve” y un coche atropella al andrógino, dejándolo en el suelo inerte.
El hombre y la mujer han visto toda la escena desde la ventana de la habitación, y la muerte y atropello del andrógino causa al hombre una gran excitación sexual, que le lleva a perseguir a la mujer al ritmo de un tango para acariciar sus pechos, que se funden en nalgas. Cuando le vemos, sus ojos están en blanco, su rostro en éxtasis y de su boca chorrea una baba sanguinolenta. Para defenderse ella le amenazará con una raqueta triangular, y el hombre busca algo a su vez, encontrando una cuerda en el suelo, pero al tirar de ella están atados dos trozos de corcho, dos frailes maristas y dos pianos de cola con sendos burros putrefactos encima. La joven emprende la huida, pero al cerrar la puerta atrapa la mano del hombre de la que brotan hormigas. El cuarto al que accede la muchacha es idéntico al de antes y tumbado en la cama aparece el ciclista con los ropajes de antes.
Un nuevo rótulo indica «Hacia las tres de la madrugada». Un hombre con ademán autoritario ordena al hombre de las ropas extravagantes que las arroje por la ventana. Después, como en un castigo escolar, lo pone de cara a la pared y carga sus brazos en cruz con libros, que pronto se transforman en revólveres con los que tirotea a su doble, que cae contra la espalda desnuda de una mujer en un parque, de donde es recogido por transeúntes que por allí pasean.
La mujer entra en la habitación y ve en la pared la Acherontia atropos, una mariposa cuyo tórax tiene un aspecto semejante a una calavera; y también al hombre, que carece de boca y que es sustituida por el vello de la axila que acaba de desaparecer de la de la muchacha. Esta abre la puerta y accede directamente a una agreste playa, donde aparece un nuevo joven con el que pasea, encontrando a su paso los adminículos del ciclista.
Un nuevo rótulo «En primavera» aparece sobreimpresionado en el cielo donde se ve un paisaje desierto en el que están enterrados hasta el pecho el hombre y la mujer, según concluía el guion original, «ciegos, con los vestidos desgarrados, devorados por los rayos del sol y un enjambre de insectos».

jueves, 8 de septiembre de 2011

Votación para que los trastornos psiquiátricos cobren vida

Los criterios de diagnóstico psiquiátrico son literalmente una votación para que algo surja a la existencia y son ingresados en el Manual Diagnóstico y Estadístico de los Trastornos Mentales (DSM) de la Asociación Psiquiátrica. Por lo que se vota, es por un sistema de clasificación de síntomas que es drásticamente diferente, y ajeno a cualquier cosa en medicina. Ninguno de sus diagnósticos se apoya en evidencia objetiva del mal o enfermedad física o en evidencia científica.

“En la psiquiatría no hay pruebas objetivas, no hay rayos X, pruebas de laboratorio, o exámenes o descubrimientos que definitivamente digan que alguien tiene o no tiene un trastorno mental”.
Allen Frances, Ex-Jefe del Grupo de Trabajo del DSM-IV
“El DSM-IV es la fabricación tras la cual la psiquiatría busca aceptación por parte de la medicina en general. Los asociados saben que es más un documento político que científico… El DSM-IV se ha convertido en una biblia y en un best-séller para hacer dinero, a pesar de sus grandes fracasos”.
— Dr. Loren Mosher, Profesor Clínico de Psiquiatría
“La forma en que algo se introduce en el DSM no está basada en pruebas de sangre, exámenes estructurales del cerebro o descubrimientos físicos. Está basada en descripciones del comportamiento. Y esto es lo que representa el sistema completo de la psiquiatría”. — Dr. Colin Ross, psiquiatra
“Podemos fabricar suficientes etiquetas de diagnóstico sobre la variación normal del estado de ánimo y el pensamiento para poder suministrar continuamente medicamentos... Pero cuando se trata de fabricar enfermedades, nadie lo hace como la psiquiatría”. — Dr. Stefan Kruszewski, psiquiatra de Pennsylvania entrenado en Harvard, 2004
“En resumen, todo el negocio de crear categorías psiquiátricas de ‘enfermedades’ formalizándolas por consenso, y subsecuentemente atribuyéndoles códigos de diagnóstico, que a su vez guían a su uso para cobro de seguros, no es más que un fraude continuo que le otorga a la psiquiatría un aura pseudocientífica. Los perpetradores, por supuesto, están alimentando al público con esto”. — Dr. Thomas Dorman, internista y miembro del Royal College of Physicians of the UK, Fellow, Royal College of Physicians of Canada.

fuente: http://www.cchr.es/